Si è svolta mercoledì 11 settembre 2019 alle ore 20,30, nella splendida cornice di Palazzo Santa Chiara a Tropea (VV), la presentazione dell’ultima pubblicazione in versi di Carmelina Petullà “Pianto sincero”; un monologo di profonda riflessione su quanto accade nel mondo che ci circonda.

L’opera (Casa Editrice EUROPA EDIZIONI - 2019) è stata presentata assieme al primo volume della Petullà “VENERE BUGIARDA”. Alla manifestazione a fianco dell’autrice era presente l’artista Paola Epifani, in arte RABARAMA,  le cui immagini delle sue stupende opere sono presenti nel volume.

Relazione della Professoressa  MARCELLA DAVOLA (docente di lettere)

 

 

PRESENTAZIONE LIBRI VENERE BUGIARDA E PIANTO SINCERO

DI  CARMELINA PETULLA’

Tropea Palazzo Santa Chiara– 11 settembre 2019 – h 20.30

 

 

Sono emozionatissima di essere al cospetto di questo pubblico e sono onorata del ruolo che stasera mi ritrovo a coprire.

Da tanti anni affianco il prof. De Luca nell’organizzazione del premio internazionale di poesia onde mediterranee ed è in questa occasione che ho avuto modo di conoscere la poetessa Carmelina Petullà, più volte premiata con singole liriche e con i suoi libri di poesia.  Quando mi è stato proposto di fare da relatrice alle sue opere, mi sono sentita un po’ persa ma poi, ho pensato a quanto la cosa mi rendesse felice, poter parlare di una poetessa a me particolarmente congeniale che ha ritrovato un po' di d sè in una donna che l’ha ispirata: Paola Epifani, in arte Rabarama, artista ingegnosa e molto apprezzata.

Le liriche di Carmelina Petullà concretizzano infatti in parole le immagini plastiche, maestose, vigorose e slanciate che le sculture di Rabarama ci regalano.

 Entrambe le donne e le loro creazioni sono pura emozione.

 Ho trovato il connubio tra poesia e scultura inconsueto ma ideale: le parole eleganti e ricercate della Petullà intessono un mosaico che si calcifica e quasi diventa vivo attraverso i corpi tangibili e fuggitivi che ci offre Rabarama.

Sembrano nate in sinergia: nella scultura di Rabarama si percepiscono, emanati dalle opere, l’afflato mistico, il dolore, la gioia. Se ne rimane ipnotizzati, attratti e incollati come ferro e magnete; nelle poesie della Petullà si realizza di rimando il momento contemplativo che scatena nell’animo emozione, trepidazione, commozione.

Il legame tra le due genera pura materialità lirica plasmata attorno l’essenza umana che viene sprigionata in un universo fermo che gravita attorno al protagonismo indiscusso dell’essere umano, tanto potente quanto piccolo nei confronti della sua culla cosmica.

Poesia e scultura sembrano arti distanti, ma non è così. La poesia si realizza sulla musicalità delle parole e la Petullà tesse le sue note sui concetti e l’architettura compositiva che Rabarama le ispira. Ne viene fuori un mondo artistico denso di istinti, di sensazioni, di colori e di amore per la sinuosità delle forme umane.

Insieme, le due arti trasmettono sensazioni di armonia e intesa, di libertà del corpo umano, dell’uomo in meditazione, perso tra le sue stesse memorie.

 

 

 

 

VENERE BUGIARDA

Stasera vi introdurrò nel mondo della lirica di Carmelina Petullà non totalmente comprensibile se non si parte dal primo libro ispirato dalla scultrice Rabarama: “Venere Bugiarda” edito nel 2017, cui seguirà “Pianto sincero”, ultima fatica della poetessa.

 In “Venere bugiarda” la Petullà ci propone un raffronto fra madre e figlia.

Ci parla di madre Venere che, diventando umana, prova dolore e soffre e si avvia verso il tramonto e di Alba, figlia di Venere.

Quest’ultima emerge lentamente dal mare e trova il proprio essere nel Sole che illumina la terra e ricomincia a vivere ritrovando la sua identità che ha genesi proprio dal suo nome, Alba.

Madre “Venere” ha invece una missione eroica da compiere nonostante la attanagli pesantemente lo sconforto il quale diviene martirio quasi quotidiano.

Questo sacrificio però si trasforma in gioia infinita quando la figlia rinasce, “illuminata”, dalle luci dell’alba.

Non vediamo più la dea Venere, capricciosa e volitiva, espressione della bellezza e del desiderio. Ci troviamo di fronte una madre che piange, prega, spera per la figlia fragile e persa nei meandri di una società spesso spietata e crudele (che vedremo protagonista del secondo libro, Pianto sincero).

In Venere vi è una costante angoscia materna osteggiata fino allo stremo delle forze per far ritrovare alla propria Alba un mare sereno. Qui abbiamo probabilmente l’intento didascalico della poetessa Petullà, che con le sue opere vuole indurci a vivere al meglio, facendoci capire che la nostra più grande sfida vitale sta proprio nella ricerca il benessere quotidiano.

 La vita è fatta di scelte, attese, attimi da conservare e da dimenticare ma di una cosa siamo sicuri: ogni giorno rappresenta una sfida da vincere in cui la resa non è contemplata.

 

PIANTO SINCERO

Anche quest’opera è ispirata dalle meravigliose creazioni, e forse creature, di Rabarama.

E’ un componimento di speranza e fede, dedicato al cammino di Alba, una giovane donna che percorre la strada tortuosa della vita ma che trova alla fine la sua dimensione.

Le lacrime gonfie di dolore versate da madre Venere saranno la causa della morte della genitrice ma ridaranno vita ad Alba che, a conclusione di questo vissuto, assaporerà nuovamente l’esistenza e ritroverà il proprio respiro nella conoscenza e nel sapere.

Alba è un essere introverso la cui anima è come ingabbiata nel corpo, una donna che si trova a fare i conti con una condizione esistenziale precaria, molto disorientata e vittima di una costante instabilità che la travolge e la fa sentire come se stesse per cadere o per lasciare la presa.

Intanto, davanti a lei, scorre la vita. La vita di una società malata.

 Alba smarrisce la strada maestra e assiste inerme e sempre più addolorata e sconfitta al vortice di una società caotica, in cui imperano le guerre, le miserie, la droga, la mafia, la disoccupazione.

Di riflesso le opere di Rabarama portano impressi sui corpi i segni di queste erosioni sociali attraverso tracce ora delicate ora nette per mezzo degli elementi: bronzo, marmo, pietra.

Le opere scelte per la raccolta esprimono l’angoscia esistenziale e la voglia di uscire dal proprio involucro, dalla prigione del proprio corpo per ritrovare se stessi

Questi concetti si intrecciano visceralmente con le opere di Rabarama e sembrano come liberarsi esasperatamente dall’angustia di un cassetto in cui erano chiusi. Vengono liberati mettendo alla prova la sensibilità del lettore, emozionano e ci conducono a riflettere sul rapporto concreto dell’uomo nel mondo, sulla sua sensazione di vuoto, di mancanza, di un’assenza che si sviluppa nell’eterna ricerca del sé.

Tropea, 11 settembre 2019

 

                                                                                                                      Marcella Davola


Album fotografico dell'evento


Carmelina Petullà: Venere Bugiarda. Componimento teatrale in versi ispirato alle stupende opere della scultrice Rabarama

Presentata a Lamezia Terme l’ultima pubblicazione di Carmelina Petullà: Venere bugiarda; componimento teatrale in versi ispirato alle stupende opere d’arte della scultrice RABARAMA, le cui immagini sono contenute nel volume. La manifestazione si è svolta presso il Liceo Classico “Francesco Fiorentino” il 26/10/2017 , alla presenza di un pubblico numeroso e attento. Presenti il Dirigente dell’Istituto Dr. Cutuli Nicolantonio; le autorità politiche della Città nelle persone del Sindaco Dr. Paolo Mascaro  e dell’Assessore alla Cultura dr. Simone Cicco L’opera è stata declamata per intero dagli attori del teatroP di Lamezia Terme e dalla voce narrante di Giancarlo Davoli. Ospite gradita della serata l’artista Rabarama, che ha voluto rendere omaggio,con la sua presenza, all’autrice del libro e alla sua opera nonché alla città di Lamezia Terme. Altri graditi ospiti: Maurizio Carnevali, affermato scultore e pittore lametino; il relatore del libro, poeta e scrittore Pasquale De Luca, Presidente dell’Associazione Culturale “Tropea Onde Mediterranee”Carmela Dromìpromotrice culturale, docente di lettere presso il Liceo Tommaso Campanella” della Città, che ha condotto   con squisita eleganza l’evento culturale.
 

Relazione dello scrittore e poeta Pasquale De Luca sul libro presentato

 

Scultura e poesia in un canto tormentato d’amore e di speranza

 

Riprendo, in parte, quanto riportato in quarta di copertina del libro “Venere bugiarda” di Carmelina Petullà: “… una breve sintesi poetica, nuova e innovativa, che coniuga insieme l’arte della parola, propria della poesia, con l’immagine visiva e la scultura in una compenetrazione totale che prende per intero i sensi di chi legge …”, ecc.

     Concordo con quanto detto in prefazione da Carmela Dromì, la quale parla “di un tormento interiore, un’inquietudine … di uno spirito sempre alla ricerca della verità”. E aggiungo di due spiriti: quello della poetessa e quello della scultrice, che si fondono e si confondono in un libro che riporta, con immagini e linguaggi diversi e appropriati all’assunto, una panoramica interiore di quanto è racchiuso nell’animo umano.

     È stato un caso, un puro caso, che mi ha fatto conoscere la poetessa. Ed è stato un caso che mi ha fatto incontrare la scultrice, prima con le sue opere su quello che il Vate ha definito “il più bel chilometro d’Italia” e poi lei di persona in questa sala dove la parola è all’arte e alla poesia nella forma più alta che si possa avere, in un insieme che unisce l’umanità in una comunicazione diversa, orale e visiva, che scava nell’anima.

     Carmelina Petullà, cuore grande e generoso, dice nell’introduzione di usare un “linguaggio puro, scorrevole, molto libero”.


Concordo anche in questo. Primo perché l’Arte è libertà: non ci può essere Arte senza libertà. E l’artista nelle sue opere è continuamente alla ricerca della libertà che la esprime sotto diverse forme e con diversi strumenti. C’è chi utilizza lo scalpello e il pennello, scultore e pittore, chi la voce e il suono, cantante e musicista, e chi la parola, il poeta. Ognuno, però, con una tecnica propria, unica e personale. Come unica e personale è la tecnica espressiva della Rabarama e della Petullà in questo libro, esso stesso un’opera d’arte, dove sculture, immagini e poesie formano un unico inscindibile nella loro interezza.  Colpisce la modernità delle sculture, che noi ammiriamo in questo libro, e colpisce la modernità delle poesie che noi leggiamo e ascoltiamo con animo libero da pregiudizi tipici delle scuole letterarie. In una concatenazione di immagine e parola c’è l’esaltazione della bellezza del corpo e dell’animo umano in libertà di immagini, in libertà di versi. 

 


 “Diva d’amore, diva di bellezza”, dice la poetessa. La dea, che in sé impersona l’amore e la bellezza, è Venere, genitrice della vita, dell’umanità intera, perché senza amore, anche nella sua materialità, non ci può essere vita di nessun genere. Ma l’amore, e chi lo rappresenta, è anche inganno e tormento. Un tormento che accompagna l’uomo nell’intero corso del suo vivere, dal nascere alla morte. Ed è un tormento mirabilmente descritto dalla poetessa con poesie brevi, incisive, significative che riportano, in versi tecnicamente ben costruiti con estrema attenzione al suono, alla musicalità delle parole, alla rima, il dialogo intenso e drammatico tra madre (Venere) e figlia (Alba) che, contenutisticamente, ha il suo apice nel pianto di dolore della madre e nel grido di dolore della figlia, che vedono il “rifiorire di vita e il suo morire”. Vita e morte sono legate insieme: la vita è un passaggio alla morte, si concludono insieme in una metamorfosi continua che coinvolge animo e corpo in un unico cammino. Per la poetessa la vita è rappresentata da Alba, che rinnova il giorno nella luce e richiama il sole, la morte è rappresentata da Venere, che nell’amore, che di per se stesso è vita, uccide e distrugge inconsapevolmente la vita già nell’atto creativo. A tal proposito mi piace citare i versi dell’Ultimo canto a Venere elevato dalla figlia alla madre e che sintetizzano in modo esplicito quanto affermato: “Adesso che tu vai,… / lacrime dagli occhi scenderanno. / Saran di gioia gocce e di dolore / del rifiorir di vita e ‘l suo morire.” …  Io non sapevo che la vita mia / fosse di certo madre morte tua”, dice Alba, “Tu hai donato vita” … e continua “Vorrei vederti ritornare in vita / adesso che l’amore hai respirato”, per concludere “Soltanto il Sole illumina la terra,/ la sola luce: “Il Volto dell’Amore”.  Sono versi pieni di pathos, struggenti nella loro intensità poetica che danno la misura di quanto può l’arte, con immagini e con parole, nella trasmissione/descrizione di particolari e di forti sentimenti ad altri, ai lettori, agli osservatori.  

 Torniamo per poco sulle parole per meglio ancorarle alla mente, come piantine giovani alla terra per farle attecchire, e dare il senso vero di ciò che si vuole affermare.

 

     Carmelina Petullà e Rabarama vivono insieme in questo libro un afflato di vera poesia, che si esterna in modi e linguaggi diversi, ma che si unisce in un unico denominatore che è la vita. È un canto di amore e di speranza alla vita che, portato al cielo, con materialità di linee sinuose e aggrovigliate e con parole accuratamente scelte e sistemate, accomuna nello stesso tempo l’artista trasgressiva e la poetessa riflessiva. In entrambe prorompe un tormento esistenziale che non si può negare. Le difficoltà emergono ad ogni parola, ad ogni linea scolpita nella materia grezza, che scava scava nell’intimo più profondo dell’essere umano. Nel libro, sia nelle poesie sia nelle sculture, con evidente protagonismo recitativo, si stagliano nitide e nette solo figure femminili. In forma statuaria nelle opere della Rabarama, in forma parlata nelle poesie delicate della Petullà. Entrambe vanno al nocciolo della questione: la vita. In un iter dinamico e continuativo, con tutte le gioie e i dolori che lo accompagnano dall’inizio alla fine. È un tormento interiore che esplode in grovigli di corpi visti nella loro nudità per dire della fragilità dell’uomo come essere vivente fornito di ragione e di sentimenti e di quel suo desiderio di andare verso la luce, verso il sole, per cogliere in tutte le sue dimensioni la libertà. La libertà, che solo la luce e il sole possono dare. È l’uomo, o la donna, che aspira a liberarsi dai grovigli ancestrali che lo legano con una pesante zavorra alle origini e tende spasmodicamente in alto dove aleggia in piena luce sovrana la libertà. 


     È questo rapporto umano, madre/figlia, che domina imperioso, e impietoso, in tutte le pagine del libro che, in questo dialogo tragico e fratto, focalizza in pieno il contrasto presente/passato in una proiezione verso il futuro, che in distanza è speranza per la vita che verrà. Un dissidio che si riconduce ad un dialogo intenso fra madre e figlia, bello, attraente e tormentato, nel quale anche la tonalità delle parole si adatta alle linee movimentate e contorte delle sculture che hanno dato ispirazione alle composizioni della poetessa. È il problema esistenziale dell’uomo moderno nella società di oggi che non trova spazio per manifestarsi e fa forza con le membra portate all’estremo con spasimo di nervi affioranti per avere, o riavere, ciò che il consumo giornaliero gli ha negato: l’anima prigioniera del corpo, la spiritualità soffocata nella materialità. E allora l’anima si ribella, apre il corpo alla bellezza, si libra leggera nell’aria verso il sole che dà luce, calore e rinnova la vita nella prima ora smagata del giorno. In un’alba, che è luce, che è vita, ed è speranza.

     “È l’alba.”, dice la poetessa: “Respiro”. Quindi, vivo.

     È a questo punto che io fermo la parola, non aggiungo altro. La vita si racconta con la vita. E la vita, in questo libro, è raccontata molto genialmente dalle donne, che siano esse Venere e la figlia o Petullà e Rabarama, che ci portano, in simbiosi d’arte e di sentire, a vivere, a continuare a vivere, nell’alba che richiama il sole. E con il sole, la luce e la speranza.

     Lamezia Terme, giovedì, 26 ottobre 2017, Liceo Classico “F. Fiorentino

                                                     Pasquale De Luca

 

 


Premio "Memorial Giovanni Leone" promosso dall'associazione culturale e teatrale "Luce dell'arte" di Roma.
Per la sezione narrativa a tema "I valori della famiglia", il primo premio a Carmelina Petullà per il romanzo "Magica infanzia"
Giudizio sull'opera a cura della dottoressa Carmela Gabriele
"Ritratto familiare fortemente realistico, ricco di umanità e senso dell’affetto immani, all’interno del quale l’autrice riesce a tratteggiare con un linguaggio lineare, accessibile a tutti, ma contemporaneamente forbito ed affascinante, le descrizioni paesaggistiche che fanno da imponente cornice alla storia ed il lato introspettivo di tutti i personaggi. I valori della famiglia sono messi in luce al massimo, definibili il vero tesoro che ognuno di noi dovrebbe custodire sin da bambino nel suo cuore per vivere al meglio la quotidianità."

 


Carmelinan Petullà a Tropea, ospite della serata culturale “Poesia Fuori”, seconda edizione, dedicata agli autori calabresi.

La manifestazione si è svolta il 10 luglio scorso, in uno spazio all’aperto, davanti alla libreria “Profumo di Libri”, ad opera dell’Associazione Culturale “Tropea Onde Mediterranee”e con il patrocinio logistico dell’assessorato alla cultura del Comune di Tropea.

A condurre la serata, con molta padronanza e abilità, la simpatica Virginia Celano, titolare della libreria.

Sono intervenuti accanto alla poetessa lametina altri autori del mondo della poesia: Maria Accorinti di Nichelino (TO), Brunella Arena di Zaccanopoli (VV), Annunziata Tita Mazzeo di Zaccanopoli (VV) e lo scrittore e poeta Michele Celano di Sant’Angelo di Drapia (VV).

Durante il corso della serata sono stati presentati i Libri dello scrittore Michele Celano “Papaveri rossi” e Racconti”, pubblicati dalla THOTH Edizioni di Mario Vallone. Relatori, il Prof. Pasquale De Luca, Presidente dell’Associazione “Tropea Onde Mediterranee”, Virginia Celano e Mario Vallone.

La manifestazione si è svolta tra, intermezzi musicali delle musiciste Elena Micali e Francesca Laganà e brani e poesie declamate dall’attore Renato Albanese.

 

A conclusione, anche uno spazio libero, fuori serata, a poeti e scrittori presenti che hanno recitato alcuni loro componimenti.


Presentazione del libro "Il Colore della Vita" a Marcellinara

Il volume “Il Colore della Vita” nasce da una raccolta di poesie di ricordi. Nei versi sono racchiusi gli stati d’animo e le sensazioni che hanno variamente coinvolto la vita dell’autrice, in periodi diversi. La parte narrativa degli avvenimenti, l’accostamento delle immagini e il linguaggio fluente dei versi, svincolato dai canoni espressivi, ricercati, costituiscono nell’insieme un modo originale di concepire la poesia. Essa, infatti, viene astratta dal suo mondo di élite e proiettata, sotto la luce delle immagini, al lettore comune, pur mantenendo eleganza e profondità espressiva.

 I primi versi nascono a Cremona, nel febbraio del 2011, seguiti da altri, scritti durante l’estate dello stesso anno a Lamezia Terme, dove l’autrice, Carmelina Petullà, vive da oltre trentacinque anni. I temi affrontati nelle poesie sono: l’amore in tutte le sue sfumature, l’eterno scorrere del tempo, il mondo dei giovani e i loro problemi e la società col suo bagaglio di incomunicabilità e di tristezza. Dalla sinergia di questi tre canali di comunicazione: immagini, prosa e versi, scaturisce lo stile di questa nuova poesia.


Relazione del professore Pasquale De Luca sul libro              "Il Colore della Vita"

A volte circostanze volute o non volute determinano i fatti, che avvengono o non avvengono. Al di fuori della nostra o della altrui volontà. Disegnano i colori della vita. È quanto successo a me con la presentazione di questo libro, significativamente titolato “Il Colore della Vita”. Circostanze che mi hanno permesso di conoscere l’autrice, Carmelina Petullà, e di visitare per la prima volta Marcellinara, questo splendido paese di Calabria, dove la signora qui presente da giovane ha visto e assorbito i primi colori della vita.

Quando ho avuto in mano il libro, di cui parleremo, al bar “Tonino” di Tropea, son rimasto piacevolmente sorpreso dal titolo, “Il Colore della Vita”, e dalla forma grafica dei due sostantivi che lo compongono: Colore e Vita, entrambi con l’iniziale maiuscola, C e V grandi come un tempo si diceva quando andavo a scuola. E dall’immagine a tutto campo di un bimbo che guarda oltre il chiuso spazio di una pagina patinata. Mi son fermato un attimo a meditare, non ho chiesto, non ho parlato: “È mio nipotino” – mi ha detto l’autrice del libro leggendo forse nel mio pensiero un segno di iniziale perplessità. Non era perplessità, era desiderio di indovinare cosa volesse rappresentare quel bimbo, cosa racchiudesse in sé il libro. Perché un bimbo in copertina con un bel visino, vispo, sorridente? In un libro di poesie? Ho sfogliato, per dare un senso al silenzio che non aveva senso. Altre foto all’interno e scrittura in prosa. Mi domandavo perché e lei, quasi anticipasse le domande che non facevo, rispondeva: a me, forse a sé in un dialogo mai interrotto con se stessa e esplicitato nel percorso scritturale del libro.

Mia nonna, nei primi anni del secolo scorso o anche prima, lei mi diceva, qui ragazza è venuta ad accompagnare una giovanissima maestrina a fare scuola a Marcellinara, e qui son venuto oggi io, sulle sue orme, a parlare di poesia. A parlare della poesia di Carmelina Petullà.

Si danno diverse e opposte definizioni alla voce poesia, dipende da chi, dal momento, dall’umore, dall’occasione. Anche a me è capitato di farlo. Mi piace, però, ciò che dice la poetessa a pag. 25 e l’invito a cercarla “nel sorriso di un bimbo” (Fermati un attimo).

Ma torniamo al libro. E, per un attimo, alla copertina del libro. Essa, con quella foto, rappresenta l’immagine pulita dell’innocenza. Ed è così, perché la poesia della Petullà è poesia dell’innocenza, dell’affetto, della famiglia, della terra ed è poesia del sorriso. Nella sua poesia noi indoviniamo un sincero sentimento religioso, una diffusa religiosità della vita e della terra dove la vita è sbocciata che si esprime in modi e con tecniche diversi. Tant’è vero che l’a. utilizza il verso classico in un intreccio di prosa e di fotografia. Potrebbe sembrare che lo abbia fatto per riempire spazio, ma non è così, perché poesie, foto e prose fanno parte di un unicum in un contesto ben strutturato nelle sue componenti. Le foto illuminano di colore la poesia e rendono visibile l’amore che la p. nutre per questi luoghi, per la casa, per la famiglia, per la sua gente. Le didascalie introduttive ad ogni poesia non hanno un valore puramente introduttivo, ma fanno parte integrale della poesia stessa e ne dilatano il sentimento che l’ha dettata. Ed è soprattutto un sentimento di nostalgia per i luoghi, per le persone del passato, venato da un senso di pudore ammantato di malinconia al quale, però, spesso subentra un bisogno di speranza, di allegria.

Sono “versi prettamente autobiografici” è detto nell’Introduzione. Sì, certo; è così. Ma tutti gli artisti, di ogni genere, poeti, scrittori, pittori, scultori, compositori, e perché no anche registi e fotografi che scelgono l’inquadratura giusta, l’angolatura più adatta, consapevolmente o inconsapevolmente, inseriscono qualcosa della loro vita nella propria opera, come una mamma o un padre che mettono il proprio sangue per creare i figli, e si dice: assomiglia al padre, assomiglia alla madre. Per restare nell’ambito della poesia, Leopardi, Pascoli, D’Annunzio non hanno fatto lo stesso? E gli altri, tutti gli altri, che non cito perché non mi sono utili per l’andamento del mio dire, gli altri non hanno fatto lo stesso?

Noi non facciamo accostamenti a questo o a quel poeta del passato, a qualche scuola poetica recente, ma mettendo sul piatto della memoria, come l’a. fa, le opere femminili: il ricamo, il cerchietto, come possiamo non ricordare Leopardi? Leggendo la poesia “Non fermarti” e “Gli aquiloni”, come possiamo non vedere l’impronta del Pascoli? E D’Annunzio che fa capolino nella poesia “La danza della linfa”? Sono essi che creano l’humus culturale alla base della poesia della Petullà, che non nasconde i propri sentimenti, a volte intrisi di pessimismo, di tristezza, di amore, che non nasconde nemmeno il desiderio di farli immergere in una luce di speranza, di farli avvolgere nei colori luminosi della vita. Che lei sa, e non lo nega, è fatta di contrasti, scatti, delusioni, incertezze, solitudine, sofferenze. “Ho pianto”, lei dice, “aspettando un sorriso che non c’è” in solitudine per la solitudine vissuta nell’estraneità di un mondo a lei estraneo, o che le sembra estraneo, che non la riconosce, che lei stessa non riconosce, un mondo non suo, un mondo dove lei si sente ospite e dove i cambiamenti sono così assurdi e repentini che lasciano allibiti per “i corpi forestieri” che violentano il paesaggio ed è allora che la poesia diventa forte, decisa, di pubblica denuncia. Ed ha pianto anche nel ricordo della “Dolce piccola Bianca”, la bambina di lei mai nata che ora chiama Bianca, Bianca come la luce che lei non ha mai visto nella sua bellezza, nel suo splendore; è qui che possiamo vedere quanto amore e quanto dolore c’è nella donna, nella donna che è mamma, che riversa sulla pagina bianca una poesia bella fatta di intima sofferenza, piena di tenerezza esondante da ogni parola.

Sono poesie nostalgiche, sentimentali? Sì e no. Nella semplicità dei versi, scorrevoli, strutturalmente ben calibrati, sono poesie di forte valenza esistenziale dove si apre e si chiude un ciclo vitale fatto di amore, che è vita in quanto non è morte, verso gli altri, soprattutto è amore per la mamma ed è amore di mamma. Ed è l’amore che spinge la poetessa al sorriso che c’è nelle belle foto del bambino, il nipotino, che “Va in giro carponi” ad esplorare con curiosità le meraviglie della vita in un sorriso dolce, birichino. È lui che dà senso alla vita, speranza nella continuità della vita in un futuro che, sbagliando, noi guardiamo con gli occhi del passato. Di un passato, che, in quanto nostro, rimpiangiamo e, quindi guardiamo al futuro con apprensione, con paura perché il futuro non ci appartiene. Ed è per questo, forse, che la p. a un certo punto, nell’impossibilità di fermare il tempo “che inesorabilmente ti sfugge”, con un chiaro riferimento alla Firenze rinascimentale del Magnifico, prorompe in un grido che è un invito, un augurio, un comando a voler vivere l’oggi bloccando al presente ogni sogno, ogni desiderio in quanto solo esso ci appartiene. Ma, dice, se “i versi esprimono la varietà e l’eterno scorrere del tempo” essi non trascurano gli altri elementi della vita che ha bisogno anche di sogni, anche se la vita non è e non può essere un sogno sempre colorato d’azzurro. Infatti opportunamente lei accosta e abbina alle poesie bellissime foto che, in una diversità di colori chiari, luminosi o foschi e opachi, mettono in evidenza cromatica la parola e il verso che si allontana verso l’orizzonte lontano in una musicalità di suoni.

 

Dovrei dire altro, dovrei dire singolarmente di ogni poesia; non voglio togliere a chi ci ascolta il piacere della lettura, mi piace però citare, solo citare, alcune poesie che bisognerebbe assolutamente leggere: Fermati un attimo, A mia madre, Bagliori inesistenti, Aspettando un sorriso, Dolce piccola Bianca. Sono poesie che esprimono tutta la poeticità della Petullà, alla quale rivolgo l’augurio che esca dall’opacità del quotidiano e, in uno slancio vitale, con un sorriso ritrovi in poesia tutto “Il Colore della Vita”.